Quando si pronunzia la parola ‘economia’ spesso lo si fa con una certa diffidenza. Magari si accusa la scienza economica di legittimare una sorta di capitalismo selvaggio e sfrenato o, semplicemente, ogni sorta di comportamento economico, anarchico, privo di regole.
Ebbene, non è esattamente così! Questa confusione si potrebbe far risalire, in linea generale, ad una fuorviante interpretazione di un celebre passo di Adam Smith, tratto dalla Ricchezza delle Nazioni: “Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che essi hanno cura del proprio interesse”[1].
Lo stesso autore aggiunge che “si può avere fiducia che gli uomini perseguano il proprio interesse senza eccessivo danno alla comunità non solo per le restrizioni imposte dalla legge, ma anche perché sono soggetti a freni connaturati derivanti dalla morale, dalla religione, dalle usanze e dalla cultura”.
E’ giusto quindi indagare sulla robustezza (o debolezza) dei presupposti morali che stanno dietro un’economia capitalista o sull’economia illegale in genere, ma si dovrebbe anche evitare un uso troppo esteso della parola ‘etica’, spesso anche retorico, quando parliamo di categorie economiche e di rapporti economici.[2]
Facilmente, infatti, viene posto sotto accusa l’homo economicus.
Ma in che misura tale accusa può essere legittimata?
L’accusa è giusta se l’uomo economicus è egoista (persegue il self interest).
Ma se lo stesso è un individuo che cerca soltanto di minimizzare l’uso dei mezzi per raggiungere un certo risultato non potremmo accusarlo di egoismo; sarà invece un soggetto che agisce con razionalità economica. E qui l’egoismo non c’entra!
Quando però si passa dall’analisi dell’individuo a quella della collettività è doverosa una precisazione.
La teoria smithiana del benessere collettivo, inteso come sommatoria del benessere di ogni individuo, era valida, e lo è tutt’oggi, per quei rapporti di scambio o di mercato (giuridicamente un contratto) che non necessitano niente di più di una sorta di etica minimale (giuridicamente, l’adempimento, la lealtà e buona fede nelle trattative e negli scambi, un corretto do ut des).
Oggi però la teoria economica ha fatto luce su un’altra parte di realtà, non considerata in precedenza, che pure rientra nell’ambito delle categorie economiche; ci riferiamo, per esempio, di effetti o esternalità, teoria dei giochi, di informazione asimmetrica, di meccanismi di induzione, ecc..
In situazioni di questo genere la collaborazione tra gli individui, e tra questi e lo stato, può senz’altro migliorare il benessere collettivo eliminando certe distorsioni tra fine programmato e risultato.
Ma anche in questo caso siamo sempre nell’ambito delle categorie economiche, della scienza economica, dell’utilitarismo e della razionalità economica.
Non rientriamo ancora nella sfera della morale o dell’amore cristiano. In tal caso, infatti, avremmo di fronte comportamenti che rientrano nella categoria del dono.
Il dono o il gesto d’amore gratuito sono certamente degli eventi, degli atti, di inestimabile valore. Anzi, li potremmo definire come il “sale”, la “luce” o il “lievito” della vita dell’uomo. Ma non stiamo parlando più di scienza economica.
Una volta effettuata questa distinzione, concettuale e metodologica, vorrei accennare a scopo esemplificativo, ad uno di quei concetti che sono stati trattati, anche in maniera approfondita, negli ultimi decenni dalla letteratura economica e che sono il frutto del rapporto, sempre più ricercato, tra economia e morale.
Mi riferisco in particolare al concetto di non profit o ‘terzo settore’. Terzo perché si aggiunge agli altri due preesistenti nella tradizione della scienza economia, lo stato e il mercato.
Riguardo a tale fenomeno, è sicuramente apprezzabile l’intento di molti (studiosi e operatori sociali) di coniugare l’impresa privata, il profitto, il self interest individuale con l’etica, la filantropia, la morale cristiana o il volontariato.[3]
Ma anche qui è sicuramente da evitare una frequente retorica, che talora scade nella demagogia, che non ha nulla a che vedere con il tendere la mano al prossimo, ma che serve il più delle volte a coprire strutture, progetti e obiettivi tutt’altro che trasparenti e disinteressati.
Citando uno dei più grandi studiosi di questi temi, il prof. Luigi Giusso del Galdo (e qui non posso non fregiarmi di averlo avuto come maestro!), potremmo dire che rientrano quasi certamente nel terzo settore le associazioni ambientaliste, in cui è spesso assente qualunque tipo di utile o vantaggio a favore dei singoli associati (eccetto, ovviamente, la gratificazione per l’ideale perseguito).
Restano fuori, invece, dal non profit le cooperative che, similmente alle imprese di tipo capitalistico, prevedono una ridistribuzione di utili, anche se spesso in forma indiretta.
Circa gli altri soggetti non profit, le associazioni di volontariato, ad es., possiamo certamente dire che rientrano a pieno titolo nel non profit vero e proprio, ma dobbiamo dire con altrettanta chiarezza, però, che esulano dall’ambito della scienza economica per rientrare in un altro ambito concettuale, quello del dono, della morale cristiana; categorie nobilissime ma che non hanno alcun legame con il rapporto mezzi-fini (più precisamente, minimizzazione dei mezzi per conseguire il massimo risultato) studiato dalla scienza economica.
Il volontariato, e il dono in genere, realizzano una sorta di contratto di scambio (caratterizato da ‘reciprocità’, cfr. Zamagni[4]) in cui al do ut des si sostituisce il ‘dare senza ricevere nulla’. Semmai, come ha scritto nei suoi illuminati saggi il Prof. Stefano Zamagni, la controprestazione potrebbe consistere in una ‘sorta di aspettativa’ di qualcosa che possa venirci da parte dell’altro.
Dobbiamo quindi avere presente, in maniera chiara, questo tipo di distinzioni prima di addentrarci in un ambito in cui il rischio di cadere nell’ambiguità, nella confusione e nella retorica è veramente alto. Una volta che riusciamo a distinguere nettamente i fini che vogliamo raggiungere e i mezzi con cui arrivarci, possiamo, in quanto soggetti razionali, effettuare una scelta consapevole.

Francesco Ferlito

[1]Smith A., La ricchezza delle nazioni – abbozzo [del piu’ famoso testo del pensiero economico classico] / Adam Smith; prefazione di Giorgio Lunghini. – 2. ed. – Roma : Editori Riuniti, 1997. Tit. orig.: Draft of “The wealth of Nations”.- trad. di Valentino Parlato.
[2]Giusso L., Economia Metodo Morale, ediz. Il Cinabro, Catania, 1998.
[3]Musella M., La cruna dell’ago, ESI, Napoli, 1997.
[4]Zamagni S., La questione dello sviluppo tra etica ed economia : tensioni irrisolte, sta in “Studi in onore di Gustavo Vignocchi – Vol. IV. – Modena : Mucchi, 1992.

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