Il mercato politico è quel luogo fisico o ideale in cui si scambiano proposte e piattaforme politiche per voti, soldi,   altre proposte politiche o altre prestazioni. È un mercato con le sue regole, a volte efficienti a volte no. Il mercato è destinato alla manutenzione e alla innovazione istituzionale, ma può succedere che fallisca in questa funzione e che quindi non innovi per niente o non riesca a tenere in piedi la struttura istituzionale esistente. Ciò significa che a volte non riesce a generare le risposte che la gente si aspetta, per le quali è entrata in quel mercato, votando o contribuendo con il proprio lavoro o le proprie finanze. Quindi può sprecare risorse, che verranno distrutte o destinate a finalità improprie. Le cause dell’inefficienza del mercato della politica sono tante. Qui desidero analizzarne una in particolare. Quella che deriva dalla differenziazione inutile. È usuale infatti che i partiti e i gruppi enfatizzino le loro differenze. Non sempre ciò è giustificato dalle reali differenze di offerta politica. Come accade nel mercato economico, anche nel mercato politico ci sono differenze reali e differenze che servono solo a creare un mercato per quella particolare offerta politica. Da qui deriva la necessità di gridare le differenze perché solo in questo modo si riesce a convincere che esse sono reali. A volte questa necessità si manifesta persino con l’imposizione di veti. Ciò accade perché la percezione di una forte differenziazione garantisce la riscossione di ingenti rendite di posizione. I partiti e i gruppi hanno pertanto un forte interesse a creare differenze anche là dove queste differenze non ci sono. Queste rendite derivano dal fatto che basterebbe una singola struttura di partito là dove ce ne sono due o più. Due partiti piccoli non costano come un partito grande; costano molto di più. Si impegnano dunque risorse là dove ne basterebbero meno, e si sottraggono risorse da impieghi più utili. Chi fa queste affermazioni si guadagna spesso l’accusa di trasversalità o, peggio, di trasformismo. Non si può negare che ci sono spesso interessi economici dietro tali comportamenti. Ma ci possono essere altrettanti interessi economici dietro quell’accusa. Basti pensare all’esempio del club. Un club grande permette di suddividere meglio i costi, ma porta ad una frammentazione dei benefici. Quindi a volte piccolo e meglio di grande. Confluire in un organismo più grande comporta, dal punto di vista degli ‘iscritti’ a quel club, una perdita netta. La Sicilia è una terra in cui le differenziazioni inutili sono ormai perfettamente visibili. La moltiplicazione dell’offerta politica non sempre ha risposto alla necessità di portare all’attenzione della società una proposta diversa dalle altre. Ciò ha creato inutili conflittualità e consolidato le rendite di posizione. In un quadro generale in cui è cresciuta la consapevolezza della necessità di eliminare gli sprechi sarebbe opportuno inaugurare una fase diversa, che potremmo chiamare politica del rispetto, in cui alla base del confronto venga posta la questione da affrontare, cui far seguire le proposte di soluzione. Valga un esempio per tutti: la disoccupazione giovanile è pari al 41.3 in Sicilia e al 27.8 nel resto del paese. Uno scarto di circa 14 punti percentuali è un dato assai drammatico che va a sommarsi a un dato nazionale già drammatico. È possibile parlare con rispetto delle diverse soluzioni proposte e individuare un criterio che porti ad assegnare, compatibilmente con il quadro nazionale ed europeo, le azioni da svolgere ai diversi soggetti istituzionali e non? È possibile evitare rilievi del tipo seguente: “non è abbastanza di destra” oppure “non è abbastanza di sinistra”? Il lavoro per i giovani nasce dalla pubblica amministrazione, dalla grande impresa oppure dalla piccola e media impresa. Si deve innanzitutto verificare quale strada tra queste è percorribile – le prime due infatti sono difficilmente percorribili – e poi trovare gli strumenti che possano spianare e rafforzare quella strada. La capacità di sedere a questo tavolo con competenza, onestà e integrità non è difficile da accertare. Altri esami possono essere inutili.

Maurizio Caserta – docente di Economia politica alla facoltà di Economia di Catania

Articolo pubblicato originariamente su La Sicilia

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