«Interrogandosi sul perché Dio abbia abbattuto la torre di Babele, un midrash[1] racconta: “gli uomini dissero: costruiamo una città e una torre la cui cima arrivi al cielo. Ora la torre aveva sette gradinate ad oriente e sette ad occidente. Gli uomini salivano da una parte per portare i mattoni, mentre scendevano dall’altra parte per andare a caricare. Se cadeva un mattone si sedevano e piangevano dicendo: Ah, si è rotto un mattone! Che cosa facciamo, qual è il suo prezzo? Dobbiamo farne un altro! Passò allora di là il Signore e vide che gli uomini che cadevano dalle impalcature non erano pianti ma il mattone cotto trovava grande pianto. Allora li maledisse e li disperse su tutta la terra” (Genesi Rabba, 11,1,9)»

 

Come nella Babilonia biblica raccontata da questo midrash anche oggi la vita umana ha poco valore, considerata spesso solo un mezzo dinanzi al fine rappresentato da denaro e beni materiali. Lavorare, produrre, spendere sono gli imperativi che regolano l’esistenza. Quello che transita sul mercato assume maggiore valore della dignità umana, delle relazioni, nella quotidianità dell’individuo come nelle politiche pubbliche, più attente agli indici di borsa che alle storie personali. Lo spread interessa di più delle vite di quanti perdono il lavoro, dei precari senza prospettive, dei poveri e degli emarginati (è condivisibile il rigore nei conti pubblici ma siamo certi che le risorse non possano essere reperite in altro modo, colpendo i tanti interessi parassitari che soffocano lo Stato?).

Nel racconto biblico Dio male-dice quanti hanno dato maggiore importanza ad un oggetto piuttosto che alla persona. Il progetto di Dio poggia, infatti, sull’amore. Donandoci suo Figlio – la cui nascita in questi giorni stiamo ricordando – egli vuole creare un’umanità nuova, indicandoci la via dell’attenzione alla persona. Il senso del Natale, pertanto, poggia sul dono non come oggetto da scambiarsi ma come stile di vita improntato alla relazione e all’attenzione verso l’altro. È l’accoglienza di ogni essere umano che sta a cuore a Dio mentre gli uomini, spesso, sopravvalutano i beni materiali. La prevaricazione dell’economia e l’abitudine a considerare l’altro come strumento da utilizzare ingenerano precarietà ingestibili, rendono aridi, sviliscono il nostro essere cristiani nella misura in cui vanificano il dono d’amore che Dio ha fatto a noi.

Celebrare il Natale, pertanto, è rendere ospitale la nostra vita e donarla. Questa è la scommessa del nostro tempo. Per fare ciò, dobbiamo accogliere l’altro; il nostro cuore deve divenire una “casa” per ogni nostro fratello. Ci affidiamo alla metafora della casa in quanto ben si presta a descrivere un nuovo modo di rapportarci alla vita e agli altri. Il Natale è una festa tradizionalmente legata alla dimensione domestica, spazio dell’intimità, del noto e del familiare. La casa, però, non è solo luogo della separazione dallo spazio esterno ma può esserlo anche della continuità. Essa è, infatti, porta aperta alla vita degli altri, in un continuo movimento attraverso porte che non sono confini da presidiare ma varchi da attraversare. Ci ricorda Gesù: «Se amate quelli che vi amano quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?» (Mt. 5,46-47).

In casa si accoglie, si lascia che l’altro acceda alla nostra sfera più intima. La dimensione della casa ci consente di ripensare la ricorrenza che stiamo celebrando. Gesù, infatti, per comunicare ha scelto la condizione antropologica di ogni uomo e ogni donna: ha scelto di abitare una casa, di essere parte di una famiglia e di accogliere in essa, e attraverso essa, ogni persona. L’Incarnazione può essere concepita in questi termini come abitare la casa degli uomini. Partendo da questa condizione, Gesù si pone accanto ad ogni suo fratello, soprattutto ai più fragili e bisognosi, nell’amore e nella gratuità.

Oggi vivere il progetto di Dio significa rendere “casa” il nostro cuore, aprirlo agli altri e tenerlo aperto. Non rimanere curvi su noi stessi; sconfiggere l’indifferenza, porsi in ascolto e condividere gli affanni e il dolore dei tanti poveri, degli emarginati, di quanti questa società etichetta come “vite di scarto”. Questi sono nostri fratelli che ci passano accanto quotidianamente e tante volte tendono la mano alla ricerca di aiuto.

Oltre allo scambio dei doni sotto l’albero quest’anno facciamo un passo in più e doniamo il nostro cuore, adempiendo al progetto che Dio Padre realizza con la nascita di suo Figlio. Investiamo sulla fragilità di quel bambino che oggi contempliamo, Dio che si fa dono per la nostra felicità. Sembra una follia in un momento in cui si lotta per la sopravvivenza e solo il più forte è il vincente. Fermiamoci, invece, a interiorizzare la tenerezza di Gesù che nasce e si offre alla nostra vita e sulla relazione che con esso instauriamo. Questa relazione è la nostra forza che ci consente di superare le difficoltà. La logica del dono, infatti, può aiutarci a rigenerare il tessuto sociale, aprendolo alla solidarietà, un valore fondamentale in un momento storico in cui la forzata sobrietà diventa povertà per fasce sempre più ampie di popolazione che non possono essere lasciate sole, “scartate”, gettate come rifiuti di una società in corsa verso una crescita sempre più folle e auto-distruttiva.

Dinanzi alla crisi economica e relazionale che caratterizza il nostro tempo, il mistero del bambino che nasce a Natale in una grotta aperta agli altri ci dice di aprire la nostra casa, il nostro cuore. Ci dice di non chiuderci nell’individualismo ma di guardare verso l’altro, di farci interrogare dalle sue sofferenze.

Questo Natale facciamo un passo in più!

P. Gianni Notari

 


[1] Nella tradizione rabbinica, midrash designa  un metodo di interpretazione della Scrittura che, andando al di là del senso letterale, scruta il testo in profondità  per attualizzarlo e adattarlo ai bisogni e alle concezioni della visione ebraica del mondo, traendone applicazioni pratiche e significati nuovi che sono lontani dall’apparire a prima vista.

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