Jodie Foster, cappello di paglia, cuffie alle orecchie, portatile connesso alla sala controllo del Very Large Array, una rete di radiotelescopi persa nel deserto del New Mexico di cui alcuni si vedono di scorcio, ascolta il segnale raccolto da quelle antenne, nella speranza di captare il primo segnale radio alieno. Poco dopo, un segnale diverso dal solito, un segnale con chiare connotazioni di intelligenza, fa scattare in piedi il collega steso su una branda nella sala controllo e nella narrazione del film “Contact” seguono avvenimenti a vari gradi di fantasia. Questo non è un tentativo, peraltro piuttosto maldestro, di recensire un film di diversi anni fa, ma descrive quello che per molti è l’unica rappresentazione ideale della Radioastronomia. Molte persone che vengono a visitare la Stazione di Noto dell’Istituto di Radioastronomia chiedono infatti: ”Ma voi ascoltate le stelle?”

Vediamo di fare un po’ d’ordine.

L’astronomia è una scienza che studia gli oggetti che esistono nell’Universo, dai più vicini alle stelle della nostra Galassia, come il Sole o i pianeti, fino ai più distanti Quasar. Solo di recente siamo riusciti a inviare delle sonde per lo studio diretto degli oggetti del Sistema Solare, mentre al di fuori del nostro sistema non siamo ancora in grado di studiare direttamente stelle e galassie.
L’unico modo che abbiamo per avere informazioni sulla natura dei fenomeni astrofisici e sul loro funzionamento è lo studio di ciò che da questi oggetti viene inviato nello spazio e che noi possiamo raccogliere: la radiazione elettromagnetica e le particelle subatomiche. In questo caso ci concentreremo soltanto sulla prima.
Nel linguaggio corrente, diciamo che ciò che un oggetto astronomico, come una stella, irraggia nello spazio è la luce, che può essere osservata da noi una volta che raggiunge la terra. Quello che noi chiamiamo ‘luce’ è, però, solo una delle diverse manifestazioni del fenomeno della ‘radiazione elettromagnetica’: in particolare, si tratta di radiazione che può essere osservata attraverso i nostri occhi, e, per lungo tempo, è stata l’unico tipo di radiazione elettromagnetica su
cui si è basata la ricerca astrofisica.

Un’onda elettromagnetica si può rappresentare come in fig.1: si tratta di un campo elettromagnetico variabile, che oscilla tra un minimo ed un massimo, con una sua lunghezza d’onda, la distanza tra due massimi, nella figura. Ogni onda, chiamata fotone, trasporta energia: tanto maggiore è l’energia trasportata, tanto più piccola sarà la sua lunghezza d’onda.

Nella fig. 2 possiamo vedere uno spettro elettromagnetico, ossia la rappresentazione di tutte le possibili lunghezze d’onda. Lo spettro è diviso in settori, ciascuno dei quali rappresenta una gamma di lunghezze d’onda, o banda, cui storicamente è stato dato un nome che deriva dalle modalità e dai tempi di scoperta dei fotoni di quella particolare banda. La lunghezza d’onda è espressa in centimetri, nella notazione scientifica. Le potenze positive di 10 sono un modo compatto di scrivere 1 seguito da un numero di zeri pari all’esponente: 104=10000. Le potenze precedute dal segno meno indicano uno diviso per un numero pari a 1 seguito da un numero di zeri pari all’esponente: 10-4=1/10000, ossia un decimillesimo. Nella parte inferiore della figura sono rappresentati degli oggetti di dimensioni paragonabili a quelle delle lunghezze d’onda riportate.

Così, ad esempio, le microonde, esattamente quelle utilizzate nel forno di casa, hanno lunghezze d’onda da qualche centimetro a qualche millimetro, come la maggior parte degli insetti, mentre i raggi X, proprio quelli utilizzati nelle radiografie, hanno lunghezze d’onda di dimensioni simili agli atomi.

Come si vede, la radiazione visibile, ossia quella che possiamo percepire con gli occhi, insomma quella che noi chiamiamo ‘luce’, copre una banda piuttosto piccola rispetto allo spettro elettromagnetico completo, da circa 3 a 7 decimillesimi di centimetro. Inoltre possiamo vedere come fenomeni che riteniamo molto diversi tra loro, come la luce, i raggi X o le onde radio sono manifestazioni diverse dello stesso fenomeno fisico,  la radiazione elettromagnetica. Le onde radio differiscono dalla luce visibile soltanto per l’energia trasportata dai fotoni, inferiore per le prime rispetto alla seconda.
Questo significa che osservare la luce visibile proveniente da una stella o la radiazione radio, X o Gamma, è esattamente la stessa cosa. Cambia soltanto, e in modo importante, la tecnica usata per l’osservazione al variare delle banda.
Ma allora come facciamo ad ascoltare la radio? Le onde elettromagnetiche della banda radio hanno anzitutto l’importante prerogativa di poter coprire distanze enormi senza subire apprezzabili diminuzioni di intensità. È per questo che sono state scelte per le trasmissioni terrestri. Un’onda elettromagnetica può inoltre essere modulata: in pratica vi si possono ‘inserire’ informazioni che poi un apparecchio ricevente è in grado di ‘tradurre’ in suoni. L’onda elettromagnetica funziona come una lettera: qualcuno (un microfono) scrive su un pezzo di carta (trasforma un suono in modulazione di un’onda elettromagnetica) e spedisce la lettera (invia l’onda tramite un’antenna). Qualcun altro riceve la lettera (un’altra antenna capta l’onda in arrivo), la legge (decodifica la modulazione) e comunica ad altre persone il contenuto delle informazioni (trasforma nuovamente in suono la modulazione). Così come la lettera è solo il supporto su cui è scritta l’informazione e non è l’informazione stessa, l’onda elettromagnetica è il supporto e non il suono stesso.

Per rispondere alla nostra domanda dobbiamo dare un’altra informazione: la modulazione di un’onda elettromagnetica, salvo pochissimi e ben conosciuti casi, è un fenomeno che deve coinvolgere l’intelligenza. Non esistono in natura onde elettromagnetiche con una modulazione come quella delle trasmissioni umane. Quindi, non abbiamo alcun vantaggio a demodulare un’onda elettromagnetica proveniente da un oggetto astronomico.
Da qui, la risposta alla domanda: con un radiotelescopio non ‘ascoltiamo’ le stelle o qualunque altro oggetto celeste.
Semplicemente riceviamo onde elettromagnetiche che servono, come nel caso della luce visibile, a tracciare delle immagini, a valutare variazioni di luminosità, e così via. Entreremo in dettaglio più avanti, a questo proposito.
Resta un altro problema in sospeso: che diavolo stava ascoltando Jodie Foster con le antenne del Very Large Array? Il progetto cui fa riferimento il film è realmente esistito, anche se adesso non ha più finanziamenti da parte della NASA. Si tratta del progetto SETI, un acronimo che sta per Search of Extra Terrestrial Intelligence (Ricerca di intelligenza extraterrestre), e si proponeva l’arduo compito di captare trasmissioni intelligenti inviate da altre civiltà. In pratica, i
radiotelescopi di mezzo mondo venivano periodicamente puntati su particolari sistemi stellari su cui si ipotizzava la presenza di pianeti simili a quelli del nostro Sistema Solare e si analizzavano le onde elettromagnetiche ricevute alla ricerca di una onda modulata, che, come abbiamo detto, è chiaro segno di intelligenza. Il film ha poi rappresentato un possibile positivo epilogo di tale ricerca.

Al di là delle mie personali perplessità sulla validità del progetto, la NASA ha deciso di interromperlo. Esso però continua in modo autonomo grazie alla collaborazione gratuita di tanti volontari: anziché lavorare su dati raccolti specificamente per tale progetto, vengono esaminate tutte le osservazioni radio raccolte per altri scopi e che non servono più a coloro che le hanno effettuate. L’elaborazione viene realizzata tramite un pacchetto software, scaricabile da internet, da tutti coloro che per lavoro o per hobby sono collegati in rete. Le informazioni elaborate vengono poi raccolte e analizzate dai responsabili del progetto. Magari un giorno di questi, qualche oscuro internauta salterà sulla sedia ascoltando per la prima volta un programma di musica aliena. Caratteristica fondamentale della ricerca scientifica è porsi continuamente delle domande e cercare le possibili risposte. E così chiudiamo con un’altra domanda: ma allora, se non ci ascoltiamo le
stelle, cosa ci facciamo con un parabolone dalla superficie pari a quella di un campo di calcio?

Fine prima parte
Pietro Cassaro – (ricercatore astronomo INAF presso la Sezione di Noto, incaricato dei contatti con la rete europea di
osservazione radiointerferometrica (EVN) per il radiotelescopio di Noto)

Di admin

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.