Martedi 10 aprile si è tenuto a Catania, presso l’Auditorium dei salesiani, un seminario sul tema “Il villaggio globale e le crisi nel Mediterraneo: naufragio con spettatori?”, organizzato nell’ambito del progetto “Homoweb” dalla comunità on line omonima e dallo studio legale Asero, con il patrocinio del Centro di documentazione europea dell’Università di Catania.

Il tema del villaggio globale richiama quello della globalizzazione o mondializzazione. Non abbiamo ancora raggiunto una definizione univoca ed ultimativa dei “confini” dello stesso, ad opera della teoria giuspubblicistica e filosofica come delle scienze economiche e sociologiche, ha esordito introducendo la discussione Massimo Asero, dottore di ricerca in diritto pubblico presso l’Università di Roma “Tor Vergata” e avvocato del Foro di Catania, che siamo costretti a parlare della sua crisi, o meglio delle crisi, plurali, che lo attraversano mettendone in discussione l’identità se non la stessa esistenza.

Il cuore delle crisi, che costituiscono il nodo gordiano posto al centro dell’incontro, non poteva che essere quel Mare Nostrum, il Mediterraneo, da sempre luogo simbolo di civiltà e di incontro (tra Oriente ed Occidente), culla dell’identità europea e baricentro geopolitico del progetto postbellico di ri-fondazione di una Comunità (ed ora Unione) degli Stati e dei popoli europei. In questo braccio di mare, chiuso dalle sponde sud e nord del villaggio in crisi, prende forma una tra le più efficaci metafore dell’esistenza. Lo spunto è fornito dai celebri versi del secondo libro del De rerum natura di Lucrezio[i], che fondano il paradigma del naufragio con spettatore, acutamente indagato quale metafora centrale della civiltà occidentale in un noto libro di Hans Blumenberg della fine degli anni Settanta[ii].

La metafora del naufragio con spettatore interroga oggi l’identità individuale e comunitaria (la nave dello Stato introdotta nella retorica politica da Orazio) postmoderna, entrambe scosse dalle crisi: c’è ancora la possibilità di distinguere all’interno del villaggio globale e delle sue crisi (sulle sponde del Mediterraneo) un naufrago, o dei naufraghi, e degli spettatori? E chi sono gli uni e gli altri? Domande che insieme a tutti noi interrogano l’identità giuridica e politica dell’Unione europea (e dell’Unione per il Mediterraneo).

La crisi sulla sponda meridionale nasce dall’implosione di alcuni regimi all’interno dei quali il desiderio di libertà si è progressivamente imposto: quale sensibilità essa ha trovato nell’Unione europea e nella sua azione esterna, particolarmente nella politica europea di vicinato, rispetto ai principi e valori che la fondano secondo il contenuto normativo del Trattato di Lisbona (artt. 8, n.1, in connessione con gli artt. 2, 3 e 6 TUE e artt.78-80 TFUE) ?

Sull’altra sponda, la crisi è anzitutto una crisi economico-finanziaria; ma essa non interroga solo la tenuta, la stabilità della cosiddetta area Euro, bensì, attraverso la risposta che l’Europa ha deciso di mettere in atto (nella specie, la costituzione del meccanismo di stabilità, il cosiddetto ESM, promosso con decisione dal Cancelliere tedesco Merkel), anche la stessa coerenza dell’Unione rispetto alla propria identità politica e giuridica, e in particolare al principio di leale collaborazione sancito nell’art. 4, n. 3, TUE, anche in relazione al principio di solidarietà (art. 3, n. 3 TUE) e a quelli di proporzionalità e sussidiarietà[iii]. In via di esemplificazione, il cono d’ombra è costituito dall’applicazione che del principio di condizionalità è stata fatta nell’ambito del meccanismo di stabilità, in particolare per quanto riguarda il caso greco. Forse, nella pace garantita prima dalla costituzione di una comunità europea e dopo da un’unione degli stati e popoli europei, la sovranità è ancora solo un’ipocrisia organizzata che nella crisi del villaggio globale è ancora più complesso localizzare, definendo quali pochissimi Stati e soggetti ne sono autenticamente detentori?

Ma la crisi, come insegna la metafora del naufragio, è anche occasione di ri-nascita. E questa prende le mosse da una ri-fondazione delle scienze pratiche (diritto, politica, economia) sui principi unificanti della morale e dell’etica. Principi che non possono fare a meno di un punto di riferimento comune: l’uomo. Se al centro dell’orizzonte dell’analisi e dell’azione non viene ricollocato l’uomo, anche il diritto non avrà che a perderne e l’identità giuridica europea non resterà che… un ricordo formalizzato nei Trattati.

Non un media arabo ha mai definito le sollevazioni popolari usando l’espressione primavera araba. Così Laura Battaglia, inviata di guerra per il quotidiano “Avvenire”, della quale è stato dapprima proiettato un documentario video girato durante la guerra civile libica nel settembre-ottobre 2011, ha introdotto il proprio intervento scritto, affidato nell’assoluta impossibilità di partecipare di presenza alla lettura del moderatore. Ciò che è accaduto in Tunisia, Egitto, Libia e poi Siria, Yemen, Bahrein e, in misura minore in Giordania, ha proseguito, è “sostanzialmente una revanche che, in alcuni casi, parte realmente dal basso, in altri casi sfrutta le rivendicazioni dal basso per consentire un cambio di élite al potere”. Il mutamento di scenario geo-politico avvenuto nella sponda sud del Mare Nostrum è sintetizzato in due ordini di considerazioni. Il primo è che un sentimento di rabbia (la hogra), da un lato rispetto al depauperamento del popolo, dall’altro verso i privilegi riservati ad alcune famiglie e/o caste (come in Egitto) è il comune denominatore del sentimento delle popolazioni in rivolta. Il secondo è che la re-azione nasce da un anelito di libertà (hurria), che è rivendicazione di libertà di parola, di stampa, di espressione dei propri fondamentali diritti civili e che però non equivale a desiderio di democrazia. Se esiste un modello emergente, in questi Paesi, ha concluso la dott.ssa Battaglia sul punto, esso è costituito dalla Turchia del Premier Erdogan e non dal sistema democratico europeo o americano.

Ne consegue, anzitutto, che l’Europa ha concluso la sua stagione coloniale nel sud del Mediterraneo; in secondo luogo, che “le nuove generazioni di ventenni che hanno riempito le piazze, che hanno manifestato o sono andati in guerra in ogni angolo del Mediterraneo, dalla Tunisia alla Grecia, dall’Egitto alla Spagna parlano la stessa lingua. Hanno una base culturale comune, dialogano attraverso la tecnologia, parlano diverse lingue. Ma, soprattutto, hanno un presente e un futuro comune. Il presente è dettato dalla consapevolezza di non avere accesso alla rappresentanza politica e di non potere incidere fattivamente in essa, poiché i partiti sono dominati da figure di riferimento che rappresentano altre generazioni e altri interessi. Da qui le reazioni di piazza. Il futuro comune è dato dalla certezza di povertà. un’esperienza nuova al di qua del Mediterraneo per la quale, per la prima volta, l’Europa dei giovani guarderà al Maghreb come a un modello da imitare”.

Cominciamo dalla fine, ha esordito poi Maurizio Caserta, docente di Economia politica alla facoltà di Economia di Catania e consigliere di amministrazione della Fondazione Banco di Sicilia: perché parliamo di queste cose? Perché ci poniamo il problema della crescente globalizzazione di società e mercati, della crisi delle democrazie politiche ed economiche e della nostra identità di soggetti pensanti e partecipanti alla vita politica, locale e non? Evidentemente, perché pensiamo che queste cose siano rilevanti rispetto ad un’idea di progresso civile, economico e sociale che riguarda noi, l’Africa (particolarmente del nord), l’Europa come realtà politica e culturale e gli stessi equilibri globali.

Il nodo da sciogliere consiste allora nel combinare queste variabili (globalizzazione, crisi regionali, identità culturali e politiche) con l’obiettivo del progresso economico e civile. La chiave di lettura proposta dal prof. Caserta consiste nella definizione di un equilibrio tra l’uso del metodo micro e di quello macro. Lungi dal scegliere definitivamente l’uno o l’altro dei due approcci, la strada da seguire è la via intermedia, quell’approccio mesoeconomico  in cui la tendenza verso il macro e quella verso il micro vengono contenute da alcuni elementi unificanti. Così facendo solo, si possono coniugare i pregi dell’uno e dell’altro: trarre i vantaggi della scala, rendendo possibile che determinati organismi prendano decisioni che abbiano effetto su molti, senza d’altra parte sacrificare le diversità e le asimmetrie nelle diverse aree regionali, nazionali o locali prese in considerazione. Il contesto della crisi finanziaria ha sin qui privilegiato l’approccio macro ma guardare un aggregato molto grande non permette di differenziare; d’altra parte, un approccio micro sottolinea le specificità ma insieme a ciò  sconta la possibilità di incoerenze delle diverse azioni individuali esponendo perciò ai conflitti, di natura economica o di altra natura. La soluzione è quella della via di mezzo, prestando attenzione a non perdere né i vantaggi del distretto della diversità né quelli della scala. Al di là di facili retoriche, ha convenuto in conclusione il prof. Caserta, esiste una sostanza comune che è facile riscontrare, e dunque la chiave di lettura della centralità dell’uomo deve essere il punto di riferimento.

E’ poi intervenuto P. Gianni Notari, docente di Sociologia dei processi culturali e delle migrazioni e Antropologia culturale, già direttore dell’Istituto “Pedro Arrupe”, il quale ha anzitutto precisato l’obiettivo della propria relazione: stabilire quello che dovremmo fare per favorire un proficuo interscambio tra il nuovo che sta nascendo e le nostre identità di italiani ed europei. Oggi, ha proseguito, il mondo cambia più velocemente delle categorie che utilizziamo per leggerlo; questo travolge anche la divisione del mondo in aree ricche ed aree povere che consideriamo fissa ed immutabile mentre invece tutto cambia e forse già l’anno prossimo la Cina supererà gli USA e diventerà il paese più ricco. Nel frattempo i Paesi della sponda sud del Mediterraneo crescono mentre il ricco nord arranca in una profonda recessione. Ebbene, le crisi economiche, politiche, sociali sono i segnali di questi cambiamenti. Noi siamo immersi in queste crisi, spettatori inermi e naufraghi. In particolare, c’è una duplice crisi che riguarda le economie occidentali, sempre più dominate dalla componente finanziaria e la democrazia, sempre più vuoto feticcio, alla deriva, di questo mondo globalizzato. Sembra di vivere in un mondo che non riusciamo a decifrare, con la sua complessità: a volte, la sensazione è che non riusciamo a decifrare nemmeno la nostra vita. La condizione esistenziale dell’uomo di oggi vive una crisi analoga a quella del suo principale riferimento socio-politico: lo Stato nazione. La forza di uno Stato nazione oggi è data dalla forza della sua economia nello scacchiere planetario, il locale è una realtà interdipendente con altre realtà lontane.

Rispetto a tali fenomeni, P. Notari, si è soffermato su due dimensioni: da un lato, quella dell’incontro, legata ai fenomeni migratori che seguono la direttrice nord-sud; e dall’altra quella dei requisiti necessari a fare sì che non si resti più semplicemente spettatori.

Quanto alla prima, lo straniero è il soggetto che oggi viene e domani rimane, dando luogo ad una serie di interazioni e reazioni sociali col gruppo integrato col quale entra in contatto e a sentimenti contrastanti – per il suo essere percepito come portatore di novità che affascinano ma anche producono paura. Proprio per questo, oltre a farci paura lo straniero può diventare anche un elemento propositivo e positivo giacché la sua non appartenenza al modello culturale del contesto sociale si traduce in minor coinvolgimento, distacco critico, capacità di valutazione libera dai condizionamenti degli schemi interpretativi. Dobbiamo allora in questa direzione cominciare a cambiare mentalità valorizzando i contributi innovativi che lo straniero può portare pur rimanendo simbolo delle diseguaglianze delle varie aree del pianeta.

L’altro elemento riguarda i requisiti che dovremmo avere per esprimere una reale politica dell’accoglienza generatrice insieme di prospettive anche per il nostro Paese.

E’ in atto una sistematica revisione del welfare e dei diritti garantiti al lavoratore in nome di una ideologia liberista imperante. Rispetto a quanto accade, gli italiani manifestano una generale apatia nei confronti dell’abuso dei soldi pubblici, l’assedio alla cosa pubblica da parte dei politici, e sembrano spettatori silenti di riforme che pure investono la loro vita. I fondi pubblici ai partiti potrebbero ad esempio finanziare ammortizzatori sociali e sarebbero soldi degli italiani che dovrebbero andare agli italiani. Al contrario di quanto accaduto nella cosiddetta Primavera araba nessuno scende in strada a dimostrare. Tolleriamo il richiamo dei politici alla responsabilità per giustificare i tagli di pensioni, stipendi e garanzie che colpiscono solo la povera gente e l’arroccamento di quegli stessi politici per mantenere lo status quo quando si parla di tagli alla politica. Manca la rivendicazione di una progettualità politica di emancipazione e insieme all’indignazione sembra smarrita ogni capacità di andare oltre il naufragio di uno schiacciamento culturale imposto da un liberismo dominante che ha assimilato sempre più l’individuo a docile consumatore privo di peso politico piuttosto che a homo faber, uscendo da un individualismo opportunista. E’ in corso una crisi che sta cambiando il mondo originando nuovi equilibri; da quei fatti usciranno nuove sintesi: anche per questo è importante ripensare i legami tra il livello globale e quello delle relazioni locali, governo dell’ immigrazioni, tematiche del lavoro e dello sviluppo, lotta al parassitismo politico e alla corruzione sono fattori che incidono sugli esiti della crisi della nostra Nazione. Abbiamo da costruire dinamiche di accoglienza dell’alterità che siano capaci di generare sviluppo all’interno del nostro stesso Paese; abbiamo bisogno di una nuova classe politica capace di generare nuove dinamiche di sviluppo; abbiamo bisogno di una classe politica capace di decidere a livello macro, a livello micro e a livello meso.

Infine, P. Notari ha concluso ricordando l’Ungaretti di Allegria, i cui versi sottolineano la volontà di ricominciare anche dopo la crisi: “E subito riprende il viaggio come dopo il naufragio un superstite lupo di mare”. Attraverso esperienze come questa, è possibile diventare costruttori di dinamiche societarie dove lo straniero diventa risorsa e disegnare una società migliore dove uomini e donne possano guardare con fiducia al futuro, liberandosi da una classe politica che non ha nulla da dare al nostro Paese.

Il Parlamento europeo ha assegnato il premio Sacharov a 5 attivisti della Primavera araba. Una di loro, l’egiziana Asmaa Mahfouz, ha sottolineato l’importante contributo che i social media hanno dato alla rivoluzione araba, permettendo di raggiungere la massa critica. Così ha introdotto il proprio intervento Massimo Asero, chiamato a dare una lettura giuridica del tema oggetto di dibattito. Siamo tutti imbarcati, diceva Pascal, ha proseguito: è questa, probabilmente, la nostra situazione e dunque la risposta che dobbiamo dare all’interrogativo posto dall’alternativa implicitamente posta dal titolo del nostro incontro.

Dal punto di vista giuridico, l’orizzonte programmatico di questo dibattito può essere così tradotto: il naufragio con spettatori rispetto alle crisi che interessano le sponde sud e nord del Mediterraneo è un tema che interessa le identità, le identità individuali e le identità collettive. Ho già fatto riferimento al pensiero di Orazio, che introduce per l’appunto la nave dello Stato nella retorica della politica: proprio in questo senso, la nostra riflessione deve prendere in considerazione quel grande esperimento di ritrovamento e ri-definizione di un’identità comune, quella europea, che è appunto l’Unione europea, soprattutto dopo la caduta dei muri. E questa identità, in effetti, è interessata dalla crisi, è interessata dalle crisi. Il Trattato di Lisbona, dopo il fallimento del trattato che introduce una Costituzione europea, ha costituito un punto di approdo fondamentale per l’Unione; eppure, rispetto ad entrambe le crisi, l’identità giuridica europea sembra essere stata messa a dura prova. Assumo come documenti di riferimento i ricorsi alla Corte costituzionale tedesca avverso il Trattato di Lisbona e la sentenza che li ha decisi: nei primi sono in particolare posti in evidenza i principi e valori della democrazia, dello Sato di diritto, della sovranità, che sarebbero stati tutti lesi dall’entrata in vigore del trattato di Lisbona. Traggo degli spunti da quella sentenza oltre che naturalmente dai Trattati. Per quanto riguarda la crisi sulla sponda sud del Mediterraneo, va anzitutto considerato l’art. 8, n. 1, TUE, il quale tra l’altro recita che “L’Unione sviluppa con i paesi limitrofi relazioni privilegiate al fine di creare uno spazio di prosperità e buon vicinato fondato sui valori dell’Unione e caratterizzato da relazioni strette e pacifiche basate sulla cooperazione”. Quali sono questi valori cui fa riferimento l’art. 8, n. 1, TUE, e quali sono gli esiti ad oggi della Politica europea di vicinato? I valori sui quali si fonda l’Unione sono espressi nell’art. 2 dello stesso TUE: “rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a delle minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini. Inoltre, va rilevato il dettato l’art. 3 TUE, n. 2, a norma del quale: “l’Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l’asilo, l’immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest’ultima”.

Ebbene, perché detto ciò ritengo che la PEV ha messo in qualche modo in discussione e crisi questa identità giuridica quale formalizzata nel Trattato? Credo utile considerare due aspetti: il primo, è quello assai ben denunciato dalla responsabile UNHCR, Laura Boldrini, nel libro “Tutti indietro”, cioè quella prassi dei cosiddetti respingimenti (in mare) cui già ho fatto riferimento e per i quali l’Italia è stata condannata lo scorso febbraio dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU)[iv] – ed era già stata censurata e criticata in seno all’Unione europea (come pure si ricorda nella sentenza della CEDU), dal Commissario dell’Unione europea alla Giustizia e affari interni, Barrot, e da organismi del Consiglio d’Europa come il Commissario europeo per i diritti umani e il Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti.

Per dirlo in maniera assai sintetica, il tema della sicurezza e della stabilità dei confini esterni ha dominato la politica dell’Unione e degli Stati europei di frontiera, condizionato le politiche sull’immigrazione e l’asilo e offuscato ogni enunciazione di principi e valori contenuti nel Trattato sull’Unione europea[v].

In altre parole, il fenomeno delle migrazioni diventa un problema da inserire effettivamente nell’agenda politica delle priorità europee (e degli stati membri) solo quando si debba affrontare in via tendenzialmente emergenziale il tema della sicurezza – con i “poteri” attribuiti dall’emergenza e sembrerebbe anche in virtù dell’art. 72 TFUE, che riguarda tutto il titolo V sullo “Spazio di libertà sicurezza e giustizia” e prevede che le disposizioni ivi contenute non debbano ostare all’esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna. Tanto è vero che, ad esempio, la pubblicazione del Commission Staff Working Paper Document, Synthesis of the Replies della Commissione europea sulla prassi degli Stati membri ha rivelato, sulla base di risposte fornite dalle stesse amministrazioni degli stessi, quanto sia problematica sul piano degli ordinamenti giuridici nazionali l’attività di contrasto al terrorismo attraverso la normativa penale sostanziale e processuale a fronte delle esigenze di rispetto dei diritti della persona, spesso compromessi. Sicché, ancora una volta, c’è una contraddizione rispetto al tema dell’identità giuridica europea giacché l’Unione avrebbe dovuto diffondere i propri valori ma poi di fatto non è riuscita (nemmeno) a garantirli a quei popoli che migrano dalla sponda sud…

Sulla sponda nord, il problema che in questi giorni interroga l’identità giuridica dell’Unione formalizzata a Lisbona, e pone in qualche dubbio la sua continuità, è rappresentato dal meccanismo di stabilità europeo, il cosiddetto fondo salva Stati (ESM). Piuttosto che procedere utilizzando la clausola di flessibilità di cui all’art. 352 TFUE[vi], valorizzando così ancora il ruolo del Parlamento europeo e della Commissione, la decisione del Consiglio europeo del 16-17 dicembre 2010 di rafforzare la governance economica nell’Unione europea e istituire un meccanismo di stabilità è andata nella direzione di una modifica formale del Trattato (nella specie, l’art. 136 TFUE) attuata (per la prima volta) utilizzando la procedura di revisione semplificata[vii]. Si è scelto cioè di operare una modifica dell’art. 136 e con essa prevedere l’istituzione di un meccanismo di stabilità da parte degli Stati membri la cui moneta è l’euro, e dunque costruire un sistema la cui anima torna ad essere “esclusivamente” intergovernativa e una “disciplina giuridica tutta al di fuori del quadro istituzionale dell’Unione” – secondo le intenzioni espresse nel testo elaborato nella riunione dell’Eurogruppo del 28 novembre 2010 fatto allegare alle conclusioni del successivo Consiglio europeo dagli Stati dell’eurozona. Senza addentrarci su un tema che merita ben più specifici e adeguati approfondimenti, basti qui richiamare la chiara lettera dell’art. 1 del Trattato istitutivo il quale definisce il meccanismo di stabilità una Istituzione finanziaria internazionale. Il paradosso è, come si diceva, particolarmente chiaro proprio all’interno dell’ordinamento tedesco laddove si registra un corto circuito tra diritto e politica che sembra venire in particolare evidenza proprio a partire dalla considerazione del giudizio della Corte costituzionale tedesca sul Trattato di Lisbona. Proprio dopo che i ricorsi e la sentenza di questa hanno sottolineato e per così dire valorizzato il principio democratico sulla cui scorta sono stati presentati principalmente i ricorsi al Tribunale di Karlsruhe avverso il Trattato di Lisbona, rilevando che al Governo federale non dovesse essere concesso di giocare di sponda e aggirare di fatto il Parlamento imponendo a livello europeo le fonti per le quali non sarebbe verosimilmente in grado di raggiungere alcuna maggioranza nel Bundestag (par. 121 della motivazione),  infatti, la ragione tutta politica della scelta tedesca di caldeggiare ed imporre la modifica del Trattato sul funzionamento dell’Unione piuttosto che avvalersi della clausola di flessibilità sembra in altra forma contraddire sostanzialmente quel principio. Infatti, la Corte tedesca aveva stabilito che (proprio per l’indeterminatezza dei suoi confini applicativi) l’utilizzo della clausola di flessibilità prevista nel Trattato di Lisbona richiedesse la ratifica del Bundestag e del Bundesrat sulla base delle norme contenute nella Costituzione tedesca prima che il rappresentante tedesco in Consiglio potesse esprimersi favorevolmente. E invece l’escamotage della modifica del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea intende proprio affrontare (e risolvere) i timori di una modifica in sede parlamentare, se non di una bocciatura, della proposta del Cancelliere Merkel di rispondere alla crisi istituendo un meccanismo di stabilità su base intergovernativa, proprio rileggendo il ruolo del Parlamento tedesco e rendendone sufficiente una successiva (e ben più probabile) ratifica[viii]. Sicché, in definitiva, proprio l’asse principale dei ricorsi alla Corte e della pronuncia da questa adottata delle cessioni di sovranità e della violazione che queste avrebbero comportato del principio democratico – ciò che pure aveva indotto la Corte a sostenere che l’uso della clausola di flessibilità non potesse essere approvato nel Consiglio dal rappresentante tedesco senza un previo parere del Parlamento tedesco – sembra del tutto dimenticato.

Inoltre, e il caso greco parrebbe avere alimentato il dubbio, perplessità sorgono rispetto ai rigorosi criteri di condizionalità (che peraltro dovrebbero essere conformi ai principi dell’Unione, quali sanciti nel trattato sull’Unione europea e nel trattato istitutivo del meccanismo di stabilità), cui dovrebbe essere soggetta la concessione di qualsiasi assistenza finanziaria nell’ambito del meccanismo, rispetto al principio di solidarietà (art. 3, n. 3 TUE) nella sua connessione con quello di leale cooperazione, che permea la stessa costituzione dell’Unione e vi è particolarmente inscritto nell’articolo 4 del TUE. Che fine ha fatto, viene allora da chiedersi assumendo ancora le lenti indossate dal Giudice tedesco della costituzionalità, quel principio di Europarechtsfreundlichkeit che secondo la sentenza Lisbona caratterizza l’ordinamento costituzionale tedesco? Non sarà che le dinamiche sottese in tali forme agli interventi, a vario livello invasivi, delle istituzioni europee nelle crisi greca e italiana finiscono diversamente per dare ancora qualche ragione a chi ha parlato già della sovranità come (una mera) ipocrisia organizzata?

 


[i] Bello, quando sul mare si scontrano i venti e la cupa vastità delle acque si turba, guardare da terra il naufragio lontano: non ti rallegra lo spettacolo dell’altrui rovina, ma la distanza da una simile sorte.

 

[ii] H. Blumenberg, Naufragio con spettatore. Paradigma di una metafora dell’esistenza, trad. it., Bologna 1985.

 

[iii] Cartine di tornasole di quel principio democratico che aveva rappresentato insieme a quello di sovranità nazionale il principale motivo dei ricorsi alla Corte costituzionale tedesca avverso il trattato di Lisbona. Rispetto alla tutela di tali principi, la Corte, nel ritenere la legittimità del Trattato, aveva com’è noto tuttavia affermato l’indeterminatezza della clausola di flessibilità, prescrivendo di conseguenza che il rappresentante tedesco in Consiglio potesse esprimere parere favorevole all’uso della stessa solo dopo la ratifica del Bundestag e del Bundesrat. E sembra davvero questa l’origine tutta politica della decisione tedesca di caldeggiare la costituzione di un meccanismo di stabilità attraverso la modifica del trattato sul funzionamento dell’Unione europea anziché utilizzare la clausola di flessibilità dell’art. 352 TFUE. Tale soluzione richiede infatti una ratifica successiva mentre una decisione presa invece in sede europea ai sensi dell’art. 352 TFUE avrebbe dato la possibilità al Parlamento tedesco di porre condizioni all’assenso tedesco. Con buona pace, però, della partecipazione delle Istituzioni europee (Commissione e Parlamento) piuttosto che riportare in auge la componente intergovernativa.

[iv] La Corte di Strasburgo ha ritenuto sussistere tutte le violazioni contestate all’Italia riguardanti rispettivamente l’art. 3 della Cedu (divieto di trattamenti inumani e degradanti), l’art. 4 del Protocollo n. 4 (divieto di espulsioni collettive) e l’art. 13 Cedu, da solo e in connessione con l’art. 3 e con l’art. 4 Protocollo n. 4, queste ultime giacché è mancato un rimedio adeguato che avrebbe permesso un esame dei reclami dei migranti.

[v] Basti pensare da un lato alle conclusioni del Consiglio europeo del 1-2 marzo 2012, il quale ha discusso le tendenze emergenti e gli insegnamenti tratti dagli sviluppi nella regione e ha valutato l’attuazione del sostegno fornito finora dall’UE, affermando poi che l’UE promuove e sostiene la trasformazione democratica nel vicinato meridionale (con tempestività tutta europea…) e convenendo tra gli orientamenti guida dell’ulteriore impegno e contributo dell’UE a favore del processo l’incoraggiamento “di tutti i paesi del vicinato meridionale a intraprendere significative riforme politiche finalizzate a costruire e consolidare la democrazia, stabilire e rafforzare lo stato di diritto e difendere il rispetto dei diritti umani e delle libertà civili” (implicitamente ammettendo l’inadeguatezza della propria politica rispetto alla promozione dei propri valori fondanti con riguardo ai rapporti intercorsi con i regimi abbattuti dalle popolazioni della sponda sud e al sostegno economico loro fornito); dall’altro, per quanto più da vicino ci riguarda, al caso italiano e al Trattato di amicizia Italia-Libia con un pieno affidamento a Gheddafi per la risoluzione del problema degli sbarchi sulle coste italiane senza prestare grande attenzione alle violazioni dei diritti della persona o addirittura alle torture cui i migranti consegnati al regime libico venivano sottoposti.

[vi] Se un’azione dell’Unione appare necessaria, nel quadro delle politiche definite dai Trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai Trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate.

[vii] Questa, infatti, avrebbe potuto essere la via maestra per affrontare il problema della stabilità dell’area euro dal momento che, mancando nei Trattati la previsione dei poteri d’azione richiesti per realizzare uno degli obiettivi ivi previsti (il buon funzionamento dell’Unione economica e monetaria di cui all’art. 136 TFUE), il Consiglio avrebbe potuto deliberare su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo

[viii] Quanto all’approvazione del Parlamento italiano, il disegno AS 2914 è stato presentato al Senato ed è in attesa del passaggio in Assemblea mentre da più parti sono state sollevate perplessità e soprattutto sono stati rivolti inviti alla classe politica dirigente e alla società civile ad approfondire le conseguenze dell’adesione italiana alla modifica e conseguente creazione del meccanismo di stabilità nei termini di una ampia cessione di sovranità.

 

Di admin

Un pensiero su ““Il villaggio globale e le crisi nel Mediterraneo: naufragio con spettatori?” – Catania 10 aprile 2012”
  1. Eccezzione fatta per l’Irlanda. Tutti gli altri paesi coinvolti nella crisi economica in Europa: Grecia, Italia attravervo il Meridione, Spagna e Portogallo. Hanno una cosa in comune. Il Medio Oriente: Grecia, occupati dell’impero Ottamano. Meridione, Arabi. Spagna e Portogallo Mori. Forse e’ una questione di mentalita’? Complimenti per il lavoro che fate. Gazie, John.

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