La lettera del Presidente del Consiglio e il dibattito che ne è derivato hanno riportato la Sicilia in Italia. L’Isola in cui lo Statuto speciale è stato inteso come “licenza di privilegio” è stata chiamata a fare i conti con la realtà di un mondo che – nostro malgrado – sta cambiando.

I segnali e gli allarmi si susseguono da tempo, ignorati da una classe dirigente spesso troppo autoreferenziale. I rapporti sull’economia siciliana recentemente pubblicati da Banca d’Italia e da Res, infatti, descrivono un perdurante stato di crisi e incertezza: base produttiva debole, elevato tasso di disoccupazione, precarietà lavorativa, recessione.  Le mense della Caritas sono sempre più frequentate da siciliani che hanno perso il lavoro. Per tante famiglie va in scena, ogni giorno, l’ordinaria disperazione della povertà mentre, in un’altra ipotetica sala, va in scena la farsa dello spoil system, delle nomine, degli inciuci, degli accordi sottobanco per spartire potere e clientele, a destra come a sinistra. Parallela al dramma quotidiano di tante persone, infatti, c’è l’isola dei privilegi, degli scandali, della corruzione. Una politica dalle “logiche oligarchiche” che vive e prospera sulle spalle dei cittadini e che dà poco in cambio. In questo quadro, anche la specialità è stata spesso usata come retorica per scucire e ricucirci addosso norme nazionali. Per legittimare il voler essere un’isola non solo geografica ma a volte anche di privilegi sempre meno sostenibili.

Proprio sulla «difficile sostenibilità dei conti pubblici regionali», a fine giugno, si è soffermata la Corte dei Conti. La Magistratura contabile ha sottolineato, tra l’altro, la crescita del debito dovuta ai nuovi prestiti ma anche il perdurante peso della corruzione, che accresce i costi della vita economica e civile, e la mancanza di risultati apprezzabili di alcune misure volte al rilancio dell’economia e al risanamento finanziario.

Di nuovo, oggi, i conti della regione sono al centro del dibattito. Scongiurato – a quanto sembra – il rischio default, resta la possibile contrazione dei trasferimenti statali legata alla spending review. Parlare di conti pubblici, però, significa riflettere al contempo sulle politiche di cui sono esito. Queste, troppo spesso, sono schiacciate sulla contingenza, sul “cortotermismo”, sul “tirare a campare”: risorse sprecate che non danno frutto; ma anche inefficienza, improvvisazione e carenze nei sistemi di gestione e controllo, come quelle recentemente rilevate dalla UE che hanno messo a rischio i Fondi Fesr.

Sotto gli occhi abbiamo la Sicilia di oggi, con le sue luci e le sue ombre. Dinanzi a queste, c’è un progetto per una Sicilia futura? O si vuole restare a banchettare mentre la città brucia?

Si tratta adesso di agire predisponendo efficaci politiche mirate a delineare un nuovo corso, a immaginare qualche cosa di diverso da una regione “obiettivo convergenza” che non desidera altro che restare nel “terzo mondo” dell’Europa. Piuttosto che gridare alla “lesa maestà” dinanzi all’intervento del Governo centrale si facciano scelte conseguenti. È improcrastinabile progettare un modello alternativo; non si può più procedere per inerzia.

Vi è la necessità di avere una governance che si raccordi con la realtà del Paese, in un contesto storico che non consente più di mantenere certi privilegi. Serve responsabilità innanzitutto dalla classe politica che potrebbe subito mettersi in gioco rivedendo i propri costi.

Dinanzi alle numerose “sfide” bisogna agire tempestivamente prima di essere costretti, per fare cassa, a tagliare ulteriormente assistenza sanitaria e welfare, compromettendo la coesione sociale. Agire attraverso politiche ben congegnate, basate su attente analisi e valutazioni e non su logiche di spartizione di potere.

I cittadini devono essere il “motore” di questo cambiamento. Oggi, infatti, le richieste che questi fanno ai loro rappresentanti sono parte di un circolo vizioso di inefficienza e clientelismo: si mira a “sopravvivere individualmente”. Tutto ciò è parte di una crisi dello Stato in cui si intrecciano la perdita di credibilità delle istituzioni democratiche e il disinteresse per i beni pubblici.

Non è possibile accettare questo stato di cose come se fosse ineluttabile: le alternative ci sono. Serve una rinnovata presenza dei cittadini che, attraverso gli strumenti della democrazia, “costringa” i partiti, fra l’altro, a un nuovo linguaggio politico e a prospettive di medio e lungo termine. È necessario, però, uscire dalla rassegnata (e complice) indifferenza. Le prossime elezioni regionali potrebbero essere un’occasione per dire una parola nuova; anche se tante volte la prospettiva del cambiamento è stata strumentalizzata con tale sfacciata disinvoltura che prevale il disincanto e non ci si crede più. Si tratta di non rinunciare a individuare soggetti e percorsi nuovi, ben sapendo che sarà difficile contrastare un potere che si consolida con la strategia delle nomine.

Guardiamo oltre l’oggi; non accontentiamoci di un piccolo beneficio immediato ma puntiamo a costruire una società diversa. È ora di cambiare direzione, anche facendo nostra la forza testimoniante di coloro che hanno creduto al riscatto di questa terra. La lezione di Falcone e di Borsellino ci richiama ad una nuova etica e all’assunzione di responsabilità anche attraverso la volontà di esprimere governi attenti alla dimensione del bene comune.

GIANNI NOTARI

Articolo pubblicato originariamente su “La Repubblica-Palermo”, sabato21 luglio 2012

Di admin

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